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147.7 hrs on record (91.1 hrs at review time)
Total War alla sua massima espressione. Per qualità dei contenuti, bellezza della mappa di gioco, spettacolarità degli scontri e un engine finalmente giunto a piena maturità, Warhammer si pone, semplicemente, come uno dei capitoli migliori in assoluto della saga, anche in forza di un'ambientazione dal carisma eccezionale. Imperdibile per appassionati e non.
Posted 12 July, 2016.
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32.9 hrs on record (16.4 hrs at review time)
Di solito sono più prolisso nelle mie opinioni. Ma per Life Is Strange non c'è bisogno. Non c'è necessità di spendere fiumi di parole quando si parla di un'esperienza così profondamente emotiva, ad un livello quasi personale.

Se amate il videogioco come forma d'arte, se apprezzate le trame forti e personaggi così divinamente tratteggiati da sembrare quasi persone reali, se adorate farvi stringere il cuore in una morsa e commuovervi fino alle lacrime (grazie anche all'ausilio di un'azzeccatissima colonna sonora), allora giocatevi Life Is Strange.

Un'opera catartica, potente nella sua semplicità.

Posted 27 February, 2016.
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10.5 hrs on record
Humor arguto e demenziale ma mai troppo pesante, scelte difficili, storytelling d'eccezione e regia semplicemente geniale: TftB è in assoluto una delle migliori soprese del 2015, nonché probabilmente il miglior titolo Telltale insieme alla prima stagione di The Walking Dead. Consigliatissimo per chi vuole godersi un titolo story-driven trascinante e ricco di inventiva.
Posted 1 February, 2016.
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7.9 hrs on record
È così che si fa. È così che si realizza un remake rispettoso del titolo originale e al tempo stesso capace di imporsi nel panorama videoludico di oggi.

Oddworld New 'n' Tasty è la nostalgia che ritorna; è un titolo che sa toccare tutte le corde di chi giocò alla duologia originale per Playstation, mantenendo inalterato il feeling dell'esperienza originale. Ma soprattutto, è un'atmosfera realizzata in maniera magistrale; è un gameplay che si dimostra dannatamente fresco e vibrante ancora oggi nonostante l'età. Ed è anche una promessa per il futuro, e un nuovo inizio (il seguito/remake di Abe's Exoddus è già stato annunciato).

Abe is back!
Posted 11 November, 2015.
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29.2 hrs on record (26.7 hrs at review time)
Per quanto mi riguarda è probabilmente il miglior TPS della scorsa generazione.

Sì, l'atmosfera è indubbiamente diversa rispetto ai primi due capitoli: meno noir, più disposta a prendersi sul serio. Più cruda, realistica, meno ironica e pulp. Il classico taglio narrativo Rockstar, insomma; innestato sulla struttura tradizionale della serie fatta di inquadrature drastiche "a fumetto" e monologhi a metà fra l'auto-commiserazione e la beffa.

Ma il cambio di atmosfera non è un tradimento da parte degli sceneggiatori verso la narrativa classica della serie; il plot è di qualità cinematografica, e inanella sequenze incredibili (rigorosamente in bullet time) e ambientazioni ottimamente ricostruite. Soprattutto, il developer dimostra una profondissima conoscenza del personaggio: Max è sempre il personaggio che abbiamo imparato ad amare nel corso dei primi due capitoli, disperato, autolesionista e sarcastico come sempre; e in Max Payne 3 c'è uno sviluppo costante del personaggio, che, ancora tormentato dagli eventi passati, sembra toccare il fondo, per poi riemergere e trovare un modo di andare avanti.

Ma ciò che più colpisce in questo titolo è il gameplay, che riesce ad unire freneticità e tatticismo, e soprattutto si mantiene fedelissimo ai precetti base della serie: il bullet time la fa da padrone, sia nella sua variante normale che nel classico "shootdodge", ed è ottimamente realizzato; a questo si aggiunge un sistema di copertura che si dimostra necessario in molte occasioni, data l'aumentata difficoltà e il minor numero di antidolorifici a disposizione. Le sparatorie in sé sono fra le più esaltanti mai viste in uno sparatutto in terza persona, grazie alle fantastiche animazioni sia del personaggio principale che dei nemici, all'utilizzo del motore fisico Euphoria per la gestione dei corpi e delle relative reazioni agli urti delle pallottole, e all'ottima varietà di armi e nemici. Il level design alterna corridori stretti ad arene ampie che offrono discrete opportunità tattiche, ed è degna di nota anche l'ampia gamma di situazioni in cui il nostro Max si ritroverà a combattere.

L'ottimo aspetto tecnico permette di godere di un'esperienza cinematografica vera e propria, in cui cutscenes e gameplay si alternano senza soluzione di continuità. La trama di Max Payne 3 non ha forse lo stesso carisma e la stessa originalità dei precedenti, ma rimane comunque un action movie emozionante, dal ritmo pressoché perfetto.
Posted 22 October, 2015.
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23.1 hrs on record
Inutile girarci attorno: gran parte degli shooter militari, non importa quanto si vantino di essere realistici, offrono una visione spesso edulcorata o idealizzata della guerra; ben pochi sono quelli che hanno cercato di avere una visione più profonda di come stanno realmente le cose, per esempio puntando sul realismo estremo (la serie ARMA). Spec Ops: The Line tenta la via della narrazione e della sceneggiatura provocatoria, che vuole suscitare una riflessione da parte del giocatore. È il risultato finale è qualcosa di più unico che raro.

Dubai, gioiello del Medio Oriente, è stata completamente ingoiata da una serie di tempeste di sabbia in un vero e proprio scenario apocalittico; con essa è scomparso anche il battaglione americano che doveva assistere nell'evacuazione dei civili, soprannominato "i Dannati del 33esimo"; scompare anche il leader di tale battaglione, il pluridecorato colonnello John Konrad. Alcuni mesi dopo, tre membri della Delta Force, tra cui il protagonista Martin Walker, si addentrano all'interno delle rovine di una città ormai ridotta ad uno scheletro di quello che era una volta, alla ricerca dei sopravvissuti del battaglione sperduto; Walker spera di trovare Konrad stesso, l'uomo che una volta gli salvò la vita durante un raid in Afghanistan.

Spec Ops The Line comincia così, con un incipit che seppur promettente appare già visto. Mai prima impressione fu più errata.

Non posso, ovviamente, scrivere di tutto ciò che accade, perché rientrerei inevitabilmente nel campo degli spoiler. Ciò che occorre sapere è che questo titolo si rivolge, quasi in maniera provocatoria, al fanatico di shooter militari generici e lo invita, sequenza dopo sequenza, massacro dopo massacro, a ripensare alla moralità delle proprie azioni in gioco, alle conseguenze della guerra sulla mente dei soldati: Martin Walker è il tipico protagonista militare, le sue azioni sono determinate da un ferreo codice morale e dalla volontà di fare la cosa giusta, di essere un eroe. Ma la realtà non è mai così semplice, e proprio questo desiderio, apparentemente così innocuo, sarà la sua rovina.

La trama del gioco colpisce, sbigottisce con la forza di scene crudissime (il fosforo bianco), confonde la mente con le sue visioni allucinatorie, e infine commuove con un finale (anzi, quattro finali possibili) che non lascia nulla al caso, e lascia il giocatore con l'amaro in bocca per ciò che è stato costretto a fare nel corso del gioco. "Do you feel like a hero yet?", chiede Konrad a Walker; e di riflesso anche al giocatore, e questo è solo uno dei tanti messaggi a doppio senso che il titolo ama lanciare al protagonista del gioco, al giocatore e addirittura a sé stesso (davvero un gran tocco di classe, poi, i vari messaggi durante le schermate di caricamento, che non si limitano ad essere semplici suggerimenti di gameplay ma vanno a colpire ancora i nervi del giocatore).

Una seconda playtrough, sapendo già tutti i risvolti della trama, non è un semplice esercizio di stile, bensì occorre a svelare altri retroscena e a chiarire alcuni tasselli che, per forza di cose, risultavano impossibili da notare durante la prima giocata. Spec Ops The Line è dunque un titolo che punta forte sulla narrazione, una scommessa a dir poco riuscitissima: perché quella di Spec Ops The Line è forse una delle trame migliori nel mondo dei videogiochi, in virtù del messaggio che vuole trasmettere e della sua assoluta volontà di mettere il giocatore a (profondissimo) disagio.

Ma come capita spesso nel mondo videoludico, se la trama è un grande, grandissimo punto di forza, tale non è il gameplay: il gioco si presenta come un TPS assolutamente nella norma, e questo è sia un pregio che un difetto. I controlli sono discretamente calibrati, fatta eccezione per lo scatto che spesso risponde decisamente male, e il gunplay è perfettamente nella norma del genere. Tuttavia, il gameplay è sempre funzionale e perfettamente bilanciato. Il titolo scorre tra setpieces rigorosamente scriptati e sequenze di combattimento assolutamente prive di novità sostanziali, nonostante l'introduzione di qualche occasionale tatticismo grazie ai (pochissimi) ordini che è possibile dare ai propri sottoposti; l'unica caratteristica veramente degna di nota è una certa scarsità delle munizioni a disposizione, in accordo con il setting postapocalittico, che costringe spesso a cambiare arma e a raccogliere quelle cadute ai nemici.
Sono però visibili alcuni piccoli tocchi di eleganza che si pongono come sostegno alla narrazione, vera e propria testimonianza della grande cura riposta nella realizzazione della campagna: il protagonista cambia aspetto nel corso del gioco, e alle ferite fisiche corrispondono quelle psicologiche, così come le sequenze di "esecuzione" in mischia dei nemici (richiamabili con il tasto Shift) diventano sempre più crude e violente a mano a mano che la storia procede, lanciando chiarissimi segnali sul protagonista Walker. Il gioco è pieno zeppo di piccoli dettagli di questo genere, spesso visibili solo ad un'occhiata approfondita o consapevole, tutti al servizio del plot.

Si segnala, infine, una grafica che punta più sull'incredibile direzione artistica più che sul mero conteggio texture, offrendo scorci spettacolari e splendidi panorami devastati, il tutto sospinto da un Unreal Engine 3 capace ancora di dire la sua nonostante l'età. Il comparto audio è tutto sommato nella norma, fatta eccezione per un doppiaggio inglese veramente magistrale, che vede tra gli altri anche una grandissima prova di Nolan North, ovvero il doppiatore di Nathan Drake nella serie di Uncharted, irriconoscibile e magnifico nei panni del tormentato capitano Walker.

Spec Ops The Line è un titolo di culto, che sarà ricordato per il suo coraggio nel proporre una storia adulta e cruda ai massimi livelli, sacrificando tutto ma proprio tutto (non è nemmeno presente una modalità multiplayer) sull'altare della narrazione. Giocatelo, ammiratelo, siatene consapevoli.

"To kill for yourself is murder. To kill for your government is heroic. To kill for entertainment is harmless."
Posted 11 October, 2015. Last edited 11 October, 2015.
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24.8 hrs on record
System Shock 2 è puro game design all'ennesima potenza. È inquietante, ma mai opprimente; è vario, mai noioso, sempre coinvolgente e dannatamente immersivo; richiede attenzione da parte del giocatore e spinge all'esplorazione, ma raramente si rivela macchinoso, frustrante o inutilmente complicato; ha elementi da sparatutto, survival e GDR profondissimi, combinati sapientemente in un mix armonico; ha una narrazione coinvolgente pur nella sua semplicità; ha un sound design semplicemente magistrale.

E poi c'è SHODAN, un villain eccezionale, di quelli che ti rimangono impressi nella memoria a lungo.

L'edizione acquistabile su Steam (e GOG) è stata modificata per girare sugli ultimi sistemi operativi e funziona perfettamente, quindi non si hanno proprio scuse: a dispetto della sua età, System Shock 2 dispone del fascino dei grandi titoli, rimasto inalterato anche dopo tutti questi anni. Un vero capolavoro retrò, da giocare, rigiocare, comprendere e apprezzare nella sua visione di design.
Posted 2 October, 2015.
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6.6 hrs on record (6.2 hrs at review time)
Tra le migliori avventure grafiche della mai troppo lodata LucasArts, se non la migliore.

Come per tutte le avventure classiche anni '90, gli enigmi sono spesso poco intuitivi, alcuni decisamente illogici e francamente frustranti. Ma queste magagne vengono compensate da una cura e da una sceneggiatura incredibili, da dialoghi assolutamente brillanti e da personaggi tra i più divertenti mai apparsi nel media videoludico.

Completa il tutto uno stile grafico dal gusto particolare, non invecchiato per niente, e una colonna sonora jazz eccezionale. Grim Fandango è un gioco semplicemente indimenticabile.
Posted 25 September, 2015.
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44.0 hrs on record (30.5 hrs at review time)
Quando si tratta di DOOM, si parla di una delle più grandi opere videoludiche esistenti. Il primo capitolo, ai tempi, rappresentò una vera e propria rivoluzione mediatica ma soprattutto culturale, mentre il secondo solidificò la formula e proiettò il developer ID Software nell'Olimpo dei grandi. A questo proposito, se volete saperne di più sulla storia di questo leggendario sviluppatore consiglio di leggere il libro "Masters of Doom", di David Kushner: è probabilmente uno dei migliori libri sui videogiochi e sul game design esistenti al giorno d'oggi.

C'è tanto da amare, nei primi due titoli della serie, a partire dal gameplay frenetico, proseguendo con un level design intricato e labirintico al punto giusto ma mai frustrante (il giocatore è aiutato, d'altronde, da una mappa in sovrimpressione sullo schermo richiamabile in ogni momento), fino ad arrivare ad una colonna sonora discretamente adrenalinica. Oserei dire che DOOM e DOOM II sono alcuni fra i pochi, pochissimi giochi "retro" che rimangono ancora perfettamente godibili anche al giorno d'oggi, in virtù delle loro qualità rimaste pressocchè inalterate nell'ambito FPS; laddove invece molti altri titoli blasonati sono spesso caduti preda delle rughe del tempo e delle inevitabili evoluzioni dei loro rispettivi generi, che li hanno resi inevitabilmente obsoleti. Le versioni di DOOM e DOOM II proposte da Bethesda nel pacchetto "BFG Edition" funzionano con tutti i moderni sistemi operativi, sono perfettamente compatibili con mouse & tastiera, e includono persino le rispettive espansioni. Un vero affare, insomma.

Ma il piatto forte del disco è indubbiamente quel DOOM 3 che ai tempi ha diviso letteralmente critica e pubblico: c'è chi lo ha amato per le atmosfere e il design vagamente survival, e c'è chi lo ha odiato per aver completamente snaturato la formula di gioco dell'originale. Ma d'altra parte, nel mondo dei videogiochi raramente ci sono compromessi.

Per quanto mi riguarda? Giocai DOOM 3 all'uscita, nel 2004, e non potei fare a meno di rimanere assolutamente impressionato dal lavoro di John Carmack e soci: si tratta di un titolo che, è vero, rompe con la tradizione in maniera netta e chiara, certamente cavalcando la nuova onda dell'FPS "cinematografico" e "esperienziale" alla Half Life (non a caso in quell'anno uscì anche un certo Half Life 2), ovvero un tipo di sparatutto ben lontano dalla lotta frenetica che caratterizzava i vari Quake e Unreal, ma bensì improntato sulla storia e sull'atmosfera.

Ecco, Doom 3 ha una storia assolutamente risibile e dimenticabile, ma è l'atmosfera che coinvolge e sorprende: il nostro protagonista affettuosamente chiamato DoomGuy arriva sulla stazione della corporazione UAC su Marte e viene accolto da scenari distopici e momenti di vera e propria vita quotidiana: nei primi minuti di gioco il marine gira per la stazione parlando con varie persone e osservando varie scenette "slice-of-life" (alcune di esse presagiscono in maniera inquietante l'imminente disastro), e inoltre può interagire con varie apparecchiature, computer e addirittura cabinati di gioco. Il lento passaggio da un'atmosfera quotidiana e familiare all'incubo demoniaco che avviene durante la prima oretta di gioco fa delle sequenze iniziali di DOOM 3 un "setpiece" cinematografico d'eccezione, che non ha nulla da invidiare al famosissimo incipit di Half Life 1.

E così prende il via uno dei migliori titoli della ID Software: il level design è uno dei punti di forza del titolo, e complice anche il sistema di illuminazione (per l'epoca davvero all'avanguardia) e lo scarso utilizzo delle luci ambientali restituisce un senso di oppressione e claustrofobia che ancora oggi pochi titoli sono riusciti ad eguagliare, il tutto a servizio di un gunplay che valorizza appieno il confronto fra il giocatore e le orrende creature che invadono la stazione; il feeling delle armi è sempre stato una grande qualità dello sviluppo targato ID, e DOOM 3 non è un'eccezione: a questo si accompagna un design estetico e dei mostri ancora oggi in grado di dire la sua. Gli scontri contro gli Hell Knight sono uno dei punti più alti del gioco, senza dubbio.

Ne risultano così 10 ore di sparatutto mai noioso o banale, un mix assai ben riuscito fra adrenalina e tensione al punto giusto. È un equilibrio che molti giochi più o meno horror cercano di raggiungere, ma ben pochi ci riescono. Per fortuna, DOOM 3 fa parte di questa seconda categoria, e anche al giorno d'oggi si dimostra un titolo particolare e gradevolissimo, consigliato agli amanti del buon game design e delle atmosfere sci-fi evocative. Consigliata anche l'espansione Resurrection of Evil, che introduce un'arma liberamente ispirata (ovvero copiata spudoratamente) alla gravity gun di Half Life 2, mentre la nuova aggiunta The Lost Levels è costituita da dei livelli aggiuntivi abbastanza semplici, ma che tutto considerato rappresentano la ciliegina sulla torta di questo invitante pacchetto.

Da notare, infine, che la versione BFG Edition di DOOM 3 ed espansione cambia davvero in ben poche cose rispetto agli originali: l'unica modifica vera e propria riguarda l'utilizzo della torcia, ora abbinata ad un pulsante ed usabile anche con le altre armi, mentre nell'originale era un oggetto a sé stante.
Posted 20 September, 2015. Last edited 20 September, 2015.
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47.7 hrs on record (47.6 hrs at review time)
Terza entrata nel mondo di Shadowrun da parte degli sviluppatori di Harebrained Schemes, Hong Kong riconferma il talento del developer nello sfruttamento dell'RPG pen-and-paper di Jordan Weismar. Chi ha già giocato ai precedenti capitoli della serie (Shadowrun Returns e soprattutto il meraviglioso Shadowrun Dragonfall) sa già cosa aspettarsi, motivo per il quale non mi dilungherò troppo sulle caratteristiche del gameplay, che si mantengono pressoché intatte rispetto alle precedenti iterazioni: si tratta di un CRPG classico in prospettiva isometrica focalizzato sulla trama e sul writing, caratterizzato da un combat system a turni simile a quello del nuovo XCOM e da un'ampia scelta concessa al giocatore su come portare a termine le missioni.

La trama vede protagonista il nostro eroe (che, incredibile a dirsi, all'inizio non è uno shadowrunner) creabile e personalizzabile in ogni aspetto, che riceve una chiamata dal parte del suo padre adottivo: egli, non senza una certa urgenza, gli chiede di ritornare ad Hong Kong per aiutarlo a risolvere una questione molto importante. Ben presto, a seguito di diverse circostanze più o meno sospette, il nostro protagonista si ritrova in fuga dalla legge e braccato da nemici molto potenti, ed è costretto ad immergersi nel mondo delle ombre e a diventare, per l'appunto, uno shadowrunner vero e proprio per tentare di scagionarsi dalle accuse.

Proprio come in Dragonfall, avremo a disposizione un hub principale, nel quale potremo parlare con i vari personaggi, mercanti, NPC e compagni, e una serie di missioni, ovvero le "run", affrontabili in qualsiasi ordine si voglia; nell'hub hanno luogo la maggior parte dei dialoghi del gioco, e fa senza dubbio piacere constatare come i ragazzi di Harebrained Schemes abbiano mantenuto la formula vincente della saga: i vari personaggi sono splendidamente caratterizzati grazie a muri di testo di dimensioni semplicemente insane, con un livello di scrittura e attenzione capace di rivaleggiare ad armi pari con quello di studi molto più blasonati, come Obsidian. Ogni mercante ha la sua storia, elaborata e complessa su più livelli (per chi l'ha giocato, mi limito a citare Ambrose e Reliable Matthew), e sarà anche possibile influenzare in parte alcuni avvenimenti che riguardano determinati NPC. I compagni proseguono anch'essi nel solco della tradizione della serie, anche loro distinguendosi per l'ottima caratterizzazione: un plauso speciale, in particolare, voglio darlo a Racter e a Gaichu, probabilmente i personaggi più profondi e complessi del gioco; i discorsi di Racter sul transumanismo e la triste vicenda di Gaichu rappresentano probabilmente il punto più alto mai raggiunto dal writing di questo sviluppatore.

Per quanto riguarda le missioni, le shadowrun, esse si mantengono sullo stesso livello visto nel predecessore: ogni quest, oltre ad essere scritta magnificamente, presenta spesso e volentieri diverse scelte da compiere, che si tratti di scelte morali o di scelte che riguardano come meglio approcciarsi all'obiettivo; anche qui, la libertà di scelta nel come procedere è molto ampia, e le quest prevedono numerosissimi modi per essere portate a termine, a seconda delle abilità dei propri personaggi (Nota di merito: è possibile chiedere ai propri compagni di usare le proprie abilità, se si è carenti in quel determinato ambito; per esempio, è consigliato portarsi dietro la decker, Is0bel, se il proprio personaggio non è competente in queste situazioni, e penserà a tutto lei). Da segnalare, inoltre, che molte scelte offrono la possibilità di evitare quasi del tutto o totalmente il combattimento. Le skill check sono sufficientemente variegate, anche se ho potuto notare una certa predominanza di alcune "Etiquettes" (cioè le "specializzazioni" dialettiche del proprio personaggio), in particolare Gang, Shadowrunning e Academics; un difetto che, tra l'altro, era già presente nei capitoli precedenti, dove dominava, per esempio, Security. Vale la pena notare, però, che la relativa libertà di scelta vale solo nel caso delle conversazioni e del tipo di approccio; Shadowrun Hong Kong rimane un'esperienza fortemente lineare, nonostante l'aggiornamento del motore grafico abbia portato ad ambientazioni più vaste.

Ho potuto notare, per ciò che concerne la trama e la scrittura dei dialoghi, una certa tendenza alla prolissità e alla ridondanza: il gioco è veramente, veramente denso di testo scritto, e può capitare di annoiarsi davanti all'imensa mole di dialoghi che si ripresenta ogni volta che si torna all'hub per parlare di nuovo con tutti i mercanti. Questa problematica si inserisce in un contesto più ampio, che riguarda la sceneggiatura stessa di tutto Hong Kong: la trama non è per niente brutta o banale, tutt'altro; tuttavia, Hong Kong non riesce a raggiungere le vette di coinvolgimento e di ritmo ben calibrato che raggiungeva Dragonfall, che rimane sotto questo aspetto il migliore dei lavori di Harebrained. Hong Kong presenta alcuni tempi morti, soprattutto verso la metà del gioco, causati dal fatto che la trama principale procede in maniera molto lenta, mentre i nostri protagonisti dovranno portare a termine varie missioni totalmente slegate da essa, che servono solo per acquisire armi ed equipaggiamento migliori in vista della resa dei conti finale. Anche Dragonfall presentava questo problema, ma utilizzava diversi escamotage (i diari di Green Winters, per esempio) per mantenere alta l'attenzione del giocatore. In Hong Kong non è presente nulla di simile, e le informazioni raccolte saranno spesso decisamente scarse: la trama principale è destinata a tornare prepotentemente in scena solo verso la sequela di missioni finali. Questo non vuol dire, tuttavia, che nel gioco non esista un sistema di scelte e conseguenze, dato che alcune decisioni saranno destinate a ripercuotersi in vari modi, a seconda delle scelte compiute, durante le missioni finali del gioco. E a proposito del finale, sono presenti almeno 4 o 5 varianti diverse, compreso un bad ending per chi ama ruolare un vero cattivone.

Passando al gameplay, mi limiterò a notare come non sia davvero cambiato molto rispetto ai predecessori: sono stati aggiunti diversi nuovi strumenti di morte, tra armi, magie (poche), cyberware e via discorrendo, ma alla fine non sono presenti sostanziali differenze; come già detto, poi, il level design si presenta un po' più ampio e dettagliato, mentre una novità importante è rappresentata dalla possibilità di iniziare autonomamente lo scontro premendo un pulsante nell'angolo superiore destro dello schermo, permettendo così al giocatore di cogliere di sopresa gli avversari. Il cambiamento più drastico è nella Matrice, che è ora diventata una sorta di minigioco tra stealth e hacking: personalmente è un cambiamento che ho potuto apprezzare, dato che le sezioni in matrice dei precedenti episodi si dimostravano spesso lunghe e noiose. Hong Kong, insomma, rappresenta nulla di più di un calibrato raffinamento dei concetti di gameplay già sviluppati al loro massimo nella Director's Cut di Dragonfall. Nelle sue fondamenta, il gameplay nudo e crudo rimane sempre un po' il punto debole di questa serie, non essendo mai particolarmente profondo.

Shadowrun Hong Kong rimane tuttavia, in generale, un ottimo CRPG, che prosegue e porta al perfezionamento quella formula di gioco iniziata con Returns nel 2013 e sviluppata con l'eccezionale Dragonfall. Nel corso delle 25 ore richieste per portarlo a termine, Hong Kong saprà senza dubbio appassionarvi, grazie ad una scrittura eccezionale, ad un'ambientazione curata sotto tutti i punti di vista, ad un'ottimo design delle missioni e ad un gameplay semplice ma assai funzionale. Segnalo anche una colonna sonora davvero ottima, forse a tutt'oggi il miglior lavoro del compositore Jon Everist.

Watch your back, shoot straight, conserve ammo and never, ever, cut a deal with a dragon.
Posted 12 September, 2015.
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